Riceviamo e volentieri pubblichiamo la denuncia di Giovanni Marchegiani relativa allo stato di abbandono in cui versano i reperti archeologici del porto traianeo di Terracina.
Abbiamo talmente tanto che tendiamo a dimenticare o a trascurare parte del nostro patrimonio storico-artistico solo perché ci appare minoritario, come se l’unico assioma valido fosse “non è il Colosseo, allora non è nulla”. A tale triste destino sembra abbandonato il porto di Traiano, voluto dallo stesso imperatore perché diventasse una via intermediaria tra Pozzuoli e il porto di Ostia che approvvigionava la Città Eterna, che attualmente è riconoscibile soltanto grazie ad un piccolo cartello, mezzo storto, con due righe in italiano e in inglese che dovrebbero spiegare la sua secolare storia.
Non un accenno di staccionata né di recinzione che possa proteggerne il perimetro così che anche chi non sapesse, o non volesse sapere, capirebbe che è una zona interdetta al pubblico perché monumento storico, e invece assistiamo all’utilizzo di quell’area come fosse una discarica a cielo aperto o la latrina di qualche cane.
I resti archeologici del porto traianeo sono, quindi, in un pietoso stato di abbandono, totalmente coperti dalla vegetazione che cresce indisturbata e che, forse, in parte, può spiegare il perché i terracinesi non si rendono conto di dover tenere quell’area con maggior cura; di converso però, proprio il non rendersi conto del valore storico di quel monumento permette un trattamento del genere lasciato de facto alla natura.
Una situazione recuperabile, certo, che però mostra da un lato il poco interesse della comunità cittadina nella salvaguardia quotidiana del monumento e dall’altro lato che neanche gli organi competenti sono poi così interessati alla tutela di quell’area archeologica. L’unica cosa che si può fare è quella di lanciare un appello affinché i resti del porto vengano messi in risalto, custoditi come ogni altra testimonianza dell’impero romano e del nostro passato.
Citando Hume, senza la memoria del passato noi non avremmo una nostra identità, collettiva o personale che sia, perché tolti i ricordi “non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso o movimento”.