Una tragedia in una vita già resa drammatica dagli eventi. La storia del giovane Giuseppe Maiolo, morto a soli 16 anni mentre rientrava a casa con il suo scooter, ucciso nell’incidente con un autocarro sulla Formia – Cassino, è raccontata dall’avvocato Luca Cupolino, che lo aveva seguito in questi anni difficili per il ragazzo. Una storia di abbandono famigliare ma soprattutto da parte delle istituzioni, come spiega il legale sul suo profilo social: “Negli ultimi due anni ho difeso Giuseppe in una serie di procedimenti che lo hanno visto coinvolto sin dalla giovane età; ma adesso non è né il momento né il luogo in cui discutere di questo, essendo le aule di giustizia le uniche sedi a ciò deputate.
Io voglio parlarvi di Giuseppe, un ragazzo dotato, brillante, il cui percorso di vita è stato sicuramente meno facile di quello di gran parte di noi, ma sempre affrontato con fierezza e coraggio. A prescindere dalle speculazioni – illazioni per lo più – comparse online, Giuseppe meritava unicamente di essere aiutato ad affrontare i propri demoni – comuni alla sua generazione -, non di essere isolato, ignorato e bollato; ed è proprio per questo motivo che lo spettacolo grottesco, mediatico e andato in scena sui social, non può che essere fortemente stigmatizzato da chi Giuseppe lo conosceva davvero. Da essere umano prima, da avvocato poi, per me non è possibile accettare l’ipocrita sfilata di soggetti – dapprima le stesse istituzioni pubbliche che avevano lo specifico compito di tutelarlo – che, in cerca di visibilità, per mondarsi la coscienza o per un mero fine di strumentalizzazione politica e pubblica, si stanno struggendo, lanciandosi in quantomai inopportuni comunicati, proposte di “aiuto” postumo o meri commenti. Giuseppe, documenti alla mano, era sotto la tutela e l’egida di numerose istituzioni pubbliche, locali e non, nessuna delle quali – per quasi un anno – si è mai realmente curata delle necessità di vita di Giuseppe; non è stato iscritto a scuola, non ha goduto di alcuna assistenza pubblica, neanche in occasione di altre circostanze in cui, a parte la madre, nessuno ha voluto adempiere ai propri doveri.
Giuseppe è stato trattato da invisibile, dalle stesse istituzioni a cui era stato formalmente demandato il compito di tutelarlo, in spregio di qualsiasi principio morale e, soprattutto, in spregio al motivo della stessa esistenza di determinati enti; l’unica cosa che ha ricevuto è stata indifferenza, menefreghismo e, spesso, infondate querele e segnalazioni.
La vita di Giuseppe può aver significato qualcosa unicamente per pochi, ma la Sua morte deve significare qualcosa per tutti, affinchè non si assista più alla marginalizzazione dei soggetti più deboli, da parte dei soggetti più “forti” che anzi dovrebbero, lontano dal palco pubblico, farsi un esame di coscienza e chiedersi seriamente se hanno davvero fatto il possibile, o quantomeno il dovuto, per assicurare a Giuseppe l’aiuto e la dignità di cui aveva pienamente diritto. Almeno questo, ognuno di noi, lo deve alla memoria di Giuseppe”.