“Purtroppo mia sorella non avrà alcuna giustizia, ma continueremo a batterci perché l’ospedale risponda della sua morte”. E’ stata accolta con comprensibile amarezza dalla sorella Sabrina l’ordinanza con cui il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bergamo, Vito Di Vita, a conclusione dell’udienza in camera di consiglio del 15 maggio, ha archiviato il procedimento penale che vedeva indagati ben 25 sanitari di tre strutture per il decesso di Sara Roncucci dopo un’operazione di routine e un calvario di quasi quattro mesi.
La giovane mamma, di soli 31 anni, originaria di Sinalunga, nel Senese, ma residente a Latina, il 2 settembre 2016 si era sottoposta a un intervento di mini by-pass gastrico all’ospedale di Siena per superare i suoi problemi (genetici) di obesità, ma, a causa del distacco di una graffetta dell’operazione, subito dopo essere stata rimandata a casa, era andata incontro a un’emorragia addominale. In preda a dolori sempre più acuti, la donna si era recata per due volte al Pronto soccorso dell’ospedale di Latina, prima il 9 settembre, quando fu subito dimessa con un semplice analgesico, e poi l’indomani, il giorno del dramma. Sara, infatti, è andata incontro ad un arresto cardiaco riportando gravi danni cerebrali da cui non si è più ripresa. E’ spirata il 27 dicembre dopo una crisi polmonare nella casa di cura “Habilita” di Zigonia di Ciserano, in provincia di Bergamo, dove stava effettuando la riabilitazione neurologica, lasciando nel dolore e nella disperazione due figli piccoli, il compagno, i genitori e i fratelli.
All’indomani della tragedia, che ha scosso l’opinione pubblica in tutta Italia, i familiari della vittima, tramite la consulente personale Simona Longo, per fare piena luce sui fatti e ottenere giustizia si sono rivolti a Studio 3A, società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini, e hanno presentato un esposto ai carabinieri di Zigonia. La Procura di Bergamo, con il Sostituto Procuratore Carmen Pugliese, ha aperto un fascicolo per omicidio colposo iscrivendo nel registro degli indagati 25 sanitari di tutte e tre le strutture coinvolte e incaricando un consulente tecnico d’ufficio di effettuare la perizia medico legale per stabilire le cause del decesso e accertare se sussistessero profili di responsabilità nel tragico evento da parte dei medici che hanno curato la paziente. E il Ctu, il dottor Matteo Marchesi, ha confermato come, con particolare riferimento al Pronto Soccorso di Latina e al secondo accesso, l’operato dei medici fosse stato lacunoso.
“Si deve concludere – recita la perizia – che il sospetto diagnostico del fatto settico fu posto, ma poi non furono poste in essere in modo completo tutte le misure raccomandate per contrastarne l’evoluzione. Inoltre, quando alle 12.32 fu manifestato un aggravamento del quadro clinico, non risultano essere stati messi in atto dei provvedimenti diagnostico-terapeutici tempestivi e incisivi”. Dunque, si rilevano “scostamenti rispetto alle linee guida e alle buone pratiche raccomandate dalla comunità scientifica e incongruenze rispetto alla gestione sanitaria attesa, che avrebbe dovuto essere più serrata e tempestiva. Un’ipotetica, diversa gestione del caso avrebbe probabilmente consentito di evitare l’arresto cardiaco, che diede luogo alla grave sofferenza encefalica e alla vicenda clinica che ne conseguì, e che si concluse con il decesso della paziente”.
Marchesi, però, aggiunge che “non è possibile quantificare tale probabilità e dimostrare che sarebbe stata prossima a una ragionevole certezza”, condizione richiesta in sede penale per comminare una condanna. Ed è stato, appunto, (solo) sulla scorta di quest’ultima considerazione che il Pubblico Ministero aveva chiesto l’archiviazione, ma in prima battuta la precedente Gip, Bianca Maria Bianchi, “alla luce delle risultanze del procedimento”, non aveva ritenuto la richiesta condivisibile, fissando un’udienza ad hoc in Camera di Consiglio. Una presa di posizione del giudice che aveva fatto ben sperare i congiunti di Sara, se non altro per la volontà di vederci più chiaro sul caso e di non deliberare a cuor leggero.
Il nuovo Gip, Di Vita, dopo aver valutato la documentazione e ascoltato le parti, ha deciso diversamente. “Il consulente tecnico del Pubblico Ministero, pur dando atto che la gestione sanitaria della paziente avrebbe potuto essere più serrata e tempestiva, concedendo maggior tempo per individuare il sanguinamento e per procedere al trattamento chirurgico prima che si giungesse all’arresto cardiaco, non ha potuto escludere con ragionevole certezza che, anche in caso di maggiore zelo e solerzia da parte dei sanitari, si potesse scatenare una aritmia con il successivo arresto cardiaco che diede luogo alla sofferenza encefalica, causa dell’esito letale” scrive il giudice nel suo provvedimento. E chiarisce: “Pur conscio della sovrana incertezza che regna a livello giurisprudenziale, chi scrive ritiene che debbano essere escluse le antitetiche pretese di approdare a formulazioni di giudizi di certezza e quelle di potere basare l’accertamento del nesso di condizionamento tra omissione ed evento su giudizi di mera possibilità”. Dunque, Di Vita ha disposto la definitiva archiviazione del procedimento, non ritenendo necessario, come pure gli era stato chiesto, di affidare un nuovo esame al consulente tecnico del Pubblico Ministero che “nulla di più apporterebbe alla soluzione del caso di specie”.
“Sono delusa e incredula – commenta Sabrina Roncucci, la sorella di Sara – Il Gip è stato più ‘severo’ delle conclusioni della perizia, da cui si evince che le responsabilità ci sono tutte. Non dico che si dovesse mettere in galera tutti i 25 medici indagati, anzi, noi non chiedevamo il carcere per nessuno sapendo benissimo che non c’è stato dolo e che si è trattato di un atto colposo. Ma da qui a dire che non c’è nessun colpevole ce ne passa: al pronto soccorso di Latina ci sarà pur stato un responsabile, uno che si assume le responsabilità dell’operato del reparto. Se non fosse così le morti come quella di Sara sarebbero all’ordine del giorno”.
“L’amaro epilogo di tutto – conclude la sorella – è che la morte di Sara resta impunita. Certo, niente e nessuno ce l’avrebbero restituita, ma almeno ci sarebbe stata una giustizia. Ed è per questo che continueremo comunque a batterci in sede civile, dove sappiamo che il tipo e la prospettiva di giudizio sono completamente diversi nei confronti della tutela della parte lesa. Non ci interessa tanto ottenere un risarcimento, ma vogliamo arrivare al punto che la struttura ospedaliera ammetta i propri errori e si assuma le proprie responsabilità”.
Le conclusioni delle perizia medico legale infatti, per quanto ritenute insufficienti a sostenere un’accusa in sede penale, palesano diversi profili di responsabilità civilmente rilevanti dell’Asl di Latina, che difficilmente potrà sottrarsi dal rispondere degli errori commessi dal proprio personale e ampiamente rilevati dal Ctu.
Studio 3A ha già domandato le coperture assicurative all’Asl e ha chiesto i danni alla sua compagnia assicurativa, che finora ha denegato ogni istanza. Ma nei prossimi giorni sarà avviata la richiesta di un Accertamento Tecnico Preventivo, condizione di procedibilità per intentare una causa civile, sempre nella speranza che l’ospedale si metta una mano sulla coscienza e si decida a chiudere in via stragiudiziale la vicenda, evitando ai familiari di Sara Roncucci altre sofferenze.