Il Lazio si appresta a vivere una nuova emergenza rifiuti. Un’emergenza vera, certificata, che si tramuterà in un periodo in cui la regola lascerà il posto alla deroga, che nel mondo dei rifiuti significa enormi passi indietro dal punto di vista ambientale e della salute pubblica.
Dopo anni di immobilismo da parte della Regione Lazio, che di volta in volta ha addossato la colpa a Roma Capitale e ai privati ma che è l’unico ente che può davvero legiferare in materia, i comuni laziali non sanno più dove inviare i propri rifiuti. Roma ha un problema enorme con l’indifferenziato: gli impianti di trattamento della Capitale sono insufficienti, quello di Rida Ambiente ad Aprilia non può aumentare la mole di rifiuti provenienti da Roma perché non sa dove conferire gli scarti di lavorazione (appena il 20%) visto che la Regione, dopo due sentenze del Tar, ancora non gli indica una discarica nelle sue pertinenze. Anche la provincia di Latina è in difficoltà: è di oggi (9 maggio 2018) la notizia della chiusura dei battenti della Csa, che serve alcuni comuni del sud pontino, perché la discarica Mad di Frosinone è ormai esaurita.
Quale scenario per il prossimo futuro? Sostanzialmente uno quello possibile: ampliamento delle discariche esistenti (anche Borgo Montello nonostante la promessa, ormai inutile dopo il fallimento di Latina Ambiente, del sindaco Coletta di occupare gli invasi ?) e abbancamento spropositato di rifiuti non trattati. Nel Lazio infatti sono diversi i tritovagliatori autorizzati che aspettano solo di essere messi in funzioni al primo accenno di emergenza (a Roma è successo anche l’estate scorsa). Peccato che questi macchinari sminuzzano e basta il rifiuto indifferenziato, senza trattarlo e quindi ciò che finisce in discarica è un prodotto puzzolente e inquinante, a differenza di quello che rimane della lavorazione di un Tbm (ad esempio quello di Rida Ambiente) che equivale a un prodotto inerte.
Il Lazio si appresta insomma a rivivere la stagione delle grandi discariche, un disegno che va avanti da 40 anni. La realtà invece dovrebbe essere diversa: il ciclo dei rifiuti infatti per chiudersi dovrebbe prevedere, per il solo indifferenziato, l’esistenza di tbm (che lavorano il rifiuto) di inceneritori (che bruciano il css, che è un materiale molto meno inquinante del carbon coke per intendersi e che viene prodotto dalla lavorazione dei tbm) e piccole discariche di servizio per questi impianti e per quelli di trattamento dei rifiuti differenziati.
A proposito di differenziata: nessuno pare chiedersi perché, nonostante la crescita seppur modesta della raccolta, i rifiuti abbancati siano aumentati del 6% in media nell’ultimo periodo. La risposta sta nella stessa lavorazione del rifiuto differenziato, che produce il 50% di scarti che dovrebbero essere o termovalorizzati o abbancati. Se però si pensa che gli inceneritori ricevono un incentivo per produrre energia che potrebbe essere bloccato a partire da questa estate (e che il conferimento in discarica costa molto meno) ecco che, se l’inerzia politica continuasse anche su questo fronte, la risposta anche in questo caso diventerebbero le discariche. Una miniera d’oro, più che di rifiuti. Una miniera gestita, da più di quarant’anni, dagli stessi imprenditori, molto potenti.