Trentaseienne indiano arrestato dalla Polizia per i reati di caporalato, estorsione e tentata estorsione in danno di connazionali. L’operazione è avvenuta nel tardo pomeriggio di ieri, condotta dalla Squadra Mobile di Latina, diretta dal vice questore aggiunto Antonio Galante, ed ha portato in carcere Singh Karambir, residente a Pontinia, in forza di un’ordinanza cautelare emessa dal Gip Laura Matilde Campoli. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Daria Monsurrò, sono state svolte nel 2016 ed hanno preso il via a seguito dei controlli della Polizia volti a reprimere quei fenomeni che colpiscono in modo particolare le fasce più deboli. Nei primi mesi dell’anno, nel corso del monitoraggio del lavoro nei campi e nelle serre, alcuni immigrati hanno mostrato i segni di un malessere generato dallo sfruttamento in ambito lavorativo. Ma all’apparenza tutto sembrava perfettamente in ordine.
I dettagli dell’operazione di ieri sono stati resi noti oggi in Questura attraverso una conferenza stampa tenuta dal capo della Squadra Mobile. Galante ha avuto modo di spiegare come l’indagato, regolare sul territorio italiano, residente a Pontinia, e con un impiego di coordinatore del personale presso un’azienda agricola di Borgo Grappa, la Ortolandia, sita lungo la Migliara 45 nelle campagne tra i comuni di Latina, Pontinia e Sabaudia, avrebbe organizzato ad insaputa dei datori di lavoro un sistema di sfruttamento dei braccianti agricoli suoi connazionali. Le indagini avrebbero riscontrato che l’uomo, su 30 dipendenti indiani, avrebbe richiesto ad almeno una decina di loro il pagamento di una somma di denaro per il solo fatto di avergli dato la possibilità di lavorare in quell’azienda. Una somma di denaro corrispondente ad un paio di mensilità all’anno. A scadenza dei contratti in un caso avrebbe estorto ad un connazionale un’altra somma di denaro, 400 euro, per il “rinnovo” del contratto e avrebbe tentato di fare altrettanto in danno di un altro immigrato. I connazionali vittime del sistema avrebbero ricevuto la puntuale minaccia di essere tagliati fuori dal lavoro.
Karambir, indagato ai sensi dell’articolo 603 bis del codice penale che nel 2016 ha meglio definito gli ambiti del reato di caporalato, avrebbe sfruttato le condizioni di bisogno degli altri cittadini indiani, riducendo loro le pause e dilatando enormemente gli orari di lavoro (a volte anche 11 – 12 ore quotidiane), senza riposo settimanale, ferie o periodi di malattia retribuiti. Alle sue vittime avrebbe imposto anche un alloggio con l’intento che nessuno potesse ribellarsi alla sua organizzazione.
Le indagini svolte dalla Squadra Mobile, che hanno spinto il pm Monsurrò a richiedere la misura cautelare nella quale il Gip Campoli ha ben evidenziato la caratura del personaggio, ritenuto altamente pericoloso e in grado di riorganizzare il sistema di sfruttamento, sono state svolte con metodo tradizionale: “L’attività ha consentito di aprire un varco nel muro di omertà – ha detto Galante – in un contesto dove soggetti sfruttati si guardano bene dal riferire le loro condizioni di lavoro e quelle in cui sono costrette a vivere”.
L’operazione della Squadra Mobile è irrotta nella tranquillità di un campo di ravanelli – è questo l’ortaggio al momento presente nell’azienda della Migliara 45 – smascherando un sistema di sfruttamento radicato nella piena regolarità di contratti di lavoro. Un caporalato nascosto ed organizzato, secondo gli inquirenti, in piena autonomia dall’indagato. Una sorta di mafioncello in proprio.