Con le motivazioni della sentenza di condanna a carico di Enrica Parisella, Tiziana Di Fazio e Ivo D’Ettorre, relativamente agli abusi edilizi contestati all’interno del ristorante “Le Pantanelle” di Monte San Biagio, vengono evidenziati gli elementi che hanno portato alla pronuncia del verdetto, nell’immediatezza “interpretato” dalla difesa esclusivamente alla contestazione del pergolato.
Il processo di primo grado davanti al collegio presieduto dal giudice Pierfrancesco De Angelis si è concluso con sentenza il 19 aprile scorso. Gli imputati, nell’ordine la titolare, moglie del sindaco Federico Carnevale, il dirigente dell’ufficio tecnico e il progettista e direttore dei lavori, furono condannati per abusivismo edilizio e violazione del vincolo paesaggistico: cinque mesi e 25mila euro di ammenda. Disposto il dissequestro delle strutture e il ripristino dello stato dei luoghi, qualora non fosse stato già eseguito. Tutti e tre invece furono assolti dall’accusa di abuso d’ufficio e falso.
“La condanna – ebbe a dire l’avvocato Mastrobattista – è in ordine al solo pergolato, per altro già rimosso da tempo, che era in difformità al permesso a costruire rilasciato per la tettoia. L’aver assolto gli imputati dai reati di abuso d’ufficio e falso rende legittimi gli atti amministrativi relativi a tettoia e piscina, motivo per cui non mi spiego la condanna dell’architetto Di Fazio. Attendiamo le motivazioni della sentenza”.
Nelle motivazioni fresche di deposito la condanna dell’architetto di Fazio, al contrario, risulta tutt’altro che illogica dal momento che il collegio ha giudicato illegittime anche le realizzazioni di una tettoia di 187 metri quadrati e della piscina di 11 metri per 14 posta al centro del giardino del ristorante, in forza del permesso a costruire rilasciato dall’ufficio tecnico del Comune di Monte San Biagio nel 2010, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
A contrasto della tesi dell’accusa – esposta in aula dal teste Stefano Giulivo del Nucleo investigativo della forestale di Latina a cui erano state affidate le indagini coordinate dal Pm Giuseppe Miliano – la difesa aveva schierato i propri consulenti l’architetto Bonaventura Pianese e l’ingegnere Massimo Monacelli ma anche i funzionari della Sovrintendenza che avevano rilasciato il nullaosta paesaggistico, Francesco Paolo Zannella e Alessandro Catani. La difesa aveva quindi sostenuto che in quanto alla piscina non si trattava di un impianto vero e proprio ma semplicemente di una struttura a carattere ornamentale e che la tettoia altro non era che una pertinenza del ristorante, come a dire senza cubatura e valore di mercato.
Il collegio ha invece dato ragione alla ricostruzione fornita dagli inquirenti, ovvero che il permesso a costruire era illegittimo in quanto andava a configurarsi in un ampliamento del ristorante sul quale pendeva una richiesta di condono edilizio non ancora evasa, in zona agricola, e la piscina in zona destinata a servizi ed attrezzature pubbliche.
“Può affermarsi con assoluta certezza – si legge nella sentenza – che la tettoia con annesso pergolato nonché la piscina in oggetto determinano un sostanziale ampliamento della zona ristorante, talché non si vede come detti ampliamenti possano considerarsi opere pertinenziali così come codificati dalla giurisprudenza di legittimità, concretandosi viceversa in veri e propri interventi di nuova costruzione in contrasto con le prescrizioni di zona dal Prg e quindi come tali esclusi, relativamente al vincolo paesaggistico, dalla procedura di sub delega”. Da qui la disposizione del ripristino dello stato dei luoghi.