Dalla maglia numero 11, al bandierone biancoceleste, passando per le sciarpe e le magliette della SS Lazio. Il senso d’appartenenza di una comunità passa anche per un funerale e se l’ultimo saluto è a Vincenzo D’Amico, l’identità pontina riscopre l’orgoglio e la fierezza di rappresentare un territorio. Per quanto Vincenzo D’Amico ha raggiunto il gotha del pallone a Roma, sublimato dal titolo di Campione d’Italia nel 1974, è sempre rimasto legato alla sua terra, quella del Cos Latina, in cui ha iniziato a calciare. Per un anno, allenato da Giancarlo Sibilia, è stato di compagno di squadra di Bruno Conti, che oggi ha portato il spalla il feretro all’uscita dalla chiesa di Santa Maria Goretti.
E’ la parrocchia accanto alle case popolari, che un tempo di chiamavano IACP. Ed è qui che tra gli stenditoi, D’Amico sognava di diventare il grande calciatore che sarebbe stato. Lo è stato, tanto da diventare un “Grande Laziale” come lo ha definito Padre Riccardo, il frate francescano amico, che Vincenzo non esitava a definirlo “Zozzo romanista”. Oltre a Bruno Conti, non è stato difficile scorgere tanti altri personaggi del mondo del calcio, pontino e non solo. Mario Somma, con cui ha condiviso le esperienze televisive in RAI, da Damiano Coletta ad Enrico Fadigati, Nando Leonardi e così tanti altri pure, moltissimi cittadini, che a Vincenzo hanno voluto bene e verso i quali Vincenzo è rimasto sempre se stesso. Scroscianti applausi, fumogeni, come in una partita di calcio. Purtroppo l’ultima di Vincenzo D’Amico. Unico cruccio, ma questa è la vita: così come altri compagni della Lazio di Maestrelli che oggi non ci sono più, avrebbe meritato di festeggiare il cinquantesimo anniversario del primo scudetto biancoceleste.