“Informo di essere stato rinviato a giudizio in esito all’odierna udienza preliminare”. Per una volta fa più notizia la trasparenza del gesto che il fatto in sé. Perché non è da tutti esporsi alla gogna mediatica dei forcaioli di turno, soprattutto se sei un politico. Claudio Moscardelli, senatore pontino del Partito democratico, oggi dà la notizia su Facebook del suo rinvio a giudizio. La vicenda giudiziaria e vecchia, nota negli ambienti politici locali e regionali, ed ha già scatenato a suo tempo un vespaio perché si riferisce alle cosiddette spese pazze del Pd, anche se l’accusa di peculato è caduta da tempo.
“La contestazione che mi riguarda è esclusivamente un’ipotesi di abuso in atti d’ufficio, legata alla procedura adottata per la stipula da parte dei gruppo Pd della Regione Lazio del contratto di alcuni collaboratori per la diffusione dell’attivita politica del gruppo – spiega Moscardelli nel suo post -. La contestazione si fonda su un’erronea interpretazione della normativa di riferimento che al contrario prevedeva, all’epoca dei fatti, tale diritto per i gruppi politici presenti all’interno del consiglio regionale. Pienamente convinto della legittimità dell’operato dei responsabili dei gruppo Pd, sono certo che il processo dimostrerà la totale infondatezza di tale contestazione”.
I fatti contestati risalgono al periodo che va dal 2010 al 2012, quando Moscardelli – oggi componente della commissione parlamentare Antimafia – ricopriva la carica di consigliere regionale. Moscardelli, insieme ad altri, è accusato di aver beneficiato della collaborazione di personale per la diffusione dell’attivita politica ingaggiato senza un’adeguata comparazione tra candidati. La difesa di Moscardelli, anche attraverso il parere di un cattedratico di Istituzioni di diritto pubblico, ha sempre sostenuto che all’epoca la legge regionale consentiva collaborazioni fiduciarie con organi politici e che quindi il conferimento di incarichi di diretta collaborazione sarebbe “avvenuto nel rispetto della vigente legislazione della Regione Lazio che disciplinava la materia”.
Cos’altro aggiungere? Che le collaborazioni fiduciarie oggi come oggi continuano a resistere a tutti i livelli della pubblica amministrazione, vuoi perché di fronte ad impegni finanziari minimi ci sia appella al classico sotto-soglia, vuoi perché anche di fronte ad avvisi pubblici la scelta ultima rimane sempre in capo all’amministrazione trasformando la selezione pubblica in una vera e propria manfrina. Stupisce che in questo caso vi sia stato particolare zelo nonostante, interpretazione normativa a parte, l’incarico in questione riguardasse un ruolo politico e non amministrativo. Se il carattere fiduciario dovesse risultare illegittimo in ambito politico qual sarebbe allora il principio giuridico in base al quale decine di incarichi amministrativi al dì vengono assegnati senza comparazione alcuna?