La Casa dei papà a Latina è vuota ma non perché non ci sono papà in difficoltà. Colpa del bando. Un “dettaglio” già emerso in sede di commissione consiliare Welfare del 30 novembre scorso e ripreso questa mattina dall’ingegnere Massimo de Simone, particolarmente attivo su più fronti della vita cittadina del capoluogo.
L’ingegnere afferma che “il bando è stato predisposto in modo non congruo alle condizioni più frequenti che si possono verificare per i padri separati e rischia di lasciare fuori gran parte degli interessati”. Da riscrivere per De Simone i punti c), f), g, h dell’articolo 2, nonché l’articolo 7 del disciplinare di gara e per questo si rivolge direttamente all’assessore ai servizi sociali Patrizia Ciccarelli, alla commissione consiliare Welfare e al sindaco Damiano Coletta con una nota inviata tramite Pec.
“I punti c), f) e): riguardano la condizione economica e vanno unitamente analizzati. Si richiede – spiega nella missiva – un indicatore Isee non superiore a 16.420 euro (f), di essere in regola con il versamento delle quote di mantenimento ai figli e alla ex moglie/convivente nonché altri oneri stabiliti da provvedimento del tribunale competente (c) e di essere in possesso di un reddito annuo netto sufficiente a far fronte al proprio mantenimento e al versamento del contributo previsto all’articolo 6 quale quota di rimborso per l’uso dell’alloggio concesso (h)”.
Cosa significa tutto ciò, De Simone lo spiega simulando una situazione tipo: ” Un padre lavoratore con uno stipendio di 1.200 al mese con a carico un mantenimento per i figli pari a 300 euro ciascuno relativamente alle le spese ordinarie, oltre al 50% delle straordinarie valutabili in 50 euro ognuno, e mutuo o parte di esso per la casa coniugale in cui è rimasta a vivere l’ex coniuge, pari a circa 200 euro. Nel caso specifico non si prende in considerazione l’eventuale mantenimento anche per l’ex coniuge. Al padre restano 300 euro. L’art. g) prescrive che la rimanenza di 300 euro al mese dovrebbe essere sufficiente per far fronte al proprio mantenimento e all’eventuale contributo comunale. Tale rimanenza quindi dovrebbe almeno essere sufficiente per il sostentamento alimentare, un minimo di vestiario, mantenimento di un auto (necessaria magari per andare a lavorare e/o
prendere i figli), qualche piccola spesa durante le ‘visite’ ai figli. Se la rimanenza, invece, raggiungesse i 400 euro, bisognerebbe corrispondere anche 100 euro al mese al Comune (art. 6)”.
Per De Simone, quindi, è del tutto evidente che il bando è stato predisposto in modo non congruo alle condizioni più frequenti. Ed inoltre, “al punto c) viene richiesto di essere in regola con il versamento delle quote di mantenimento ai figli e alla ex moglie convivente nonché ad altri oneri stabiliti da provvedimento del tribunale competente. Va da sé che il mancato versamento delle quote di mantenimento rappresenta la naturale conseguenza della condizione di disagio vissuta dal padre dopo la separazione. In pratica una situazione di emergenza che dovrebbe essere agevolata, diventa nel bando la causa dell’esclusione. Un controsenso logico e materiale evidente”.
Poi la questione dei carichi pendenti. “Al punto h) viene richiesto di non avere procedimenti penali in corso. Anche tale requisito merita di essere meglio esplicitato. Innanzi tutto manca una esplicita distinzione tra reati e non si capisce per quale motivo con un
procedimento penale aperto per un qualsiasi reato, ma ancora nemmeno di condanna o
assoluzione, si debba essere penalizzati”. Tanto più che, evidenzia De Simone, riguarda proprio il mancato mantenimento (art. 570 bis coniuge penale) denunciato dalla ex coniuge: “Una tripla punizione: da un punto di vista umano, di estremo disagio dopo la separazione in cui si viene ridotti a visitatori dei figli ma comunque obbligati al mantenimento. Da un punto di vista penale, con un procedimento giuridico da affrontare con ulteriore dispendio di energie morali ed economiche. Da un punto di vista amministrativo e sociale, di penalizzazione per la mancanza di requisiti per l’assegnazione
dell’alloggio”. “La maggior parte delle denunce penali – aggiunge l’ingegnere – che si trovano ad affrontare i padri separati dopo la separazione vengono definiti con una archiviazione o una assoluzione e si rivelano strumentalmente utilizzati dalla ex coniuge per motivi di convenienza personale e a volte per ricatto. Alcune Procure riferiscono di altissime percentuali di assoluzioni delle denunce depositate dalle ex coniugi in fase di separazione (80%)”.
De Simone boccia anche l’articolo 7 che impone all’assegnatario di seguire degli appositi corsi sulla ripristino della propria autonomia e sulla genitorialità. Si legge testualmente: “l’assegnatario dell’alloggio si impegna a seguire un percorso di accompagnamento finalizzato all’uscita dalla situazione di emergenza e al ripristino della propria
autonomia abitativa, nonché di educazione alla bigenitorialità”.
“Ora, nel caso specifico di chi presenta la domanda per l’assegnazione dell’alloggio – attacca – De Simone – , ci troviamo di fronte ad un padre che dopo la separazione è stato imposto di poter dormire con i figli 4 volte al mese e uno o due pomeriggi a settimana (le cosiddette “visite” “accordate” dai tribunali), con più della metà dello stipendio dovuto per il mantenimento per i figli e spesso per la ex coniuge e che deve trovarsi un altro alloggio.
Forse allora, chi ha bisogno di un corso accelerato alla bigenitorialità non sono questi padri. Questi sono solo le ‘vittime’ di un sistema molto più ampio, diciamo di natura sociale e giuridica. Pertanto, sembra evidente, che sia erroneo, fuorviante e denigrante chiedere, anzi imporre, ad un genitore che non è il colpevole ma bensì la vittima della difficile situazione che sta vivendo, di effettuare un percorso di educazione alla bigenitorialità che altri soggetti invece avrebbero il dovere di compiere”.
Per tutte queste ragioni chiede di rivedere il bando “in particolare riguardo ai
i punti, c), f), g, h dell’articolo 2, nonché all’articolo 7 del disciplinare del bando, relativi all’aspetto economico, penale, e di educazione alla bigenitorialità, quest’ultimo da proporre, con maggiore utilità, ai soggetti che realmente ne necessitano”.