La mafia a Latina. In tanti hanno storto il naso, qualcuno dice che questa non è mafia, alcuni tentano addirittura di spiegare come questo sia un danno per la città. Sia una cattiva pubblicità, possa in qualche modo avere ripercussioni anche sull’economia.
Invece il metodo mafioso, secondo i giudici, c’è ed è evidente e chi ha una certa età lo conosce bene e lo riconosce nei passaggi delle inchieste di questi ultimi anni. Lo ha detto il giudice Annalisa Marzano, nelle motivazioni della sentenza Alba Pontina e lo ripete anche il gip di Roma, Antonella Minunni, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Armando Di Silvio, i figli Gianluca e Samuele e ancora per Gina Cetrone e l’ex marito Umberto Pagliaroli.
“La giurisprudenza – spiega il gip – ha ritenuto sussistente il metodo mafioso quando l’autore del reato, ponga in essere una particolare condotta tesa ad esercitare una speciale coartazione psicologica con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale”. Non è necessaria “la dimostrazione dell’esistenza di un’associazione per delinquere”, ma sufficiente “che la violenza e minaccia abbiano assunto veste tipicamente mafiosa”.
L’obiettivo della norma, spiega ancora il giudice, è quello di punire più decisamente “coloro che si atteggiano come mafiosi, ovvero ostentino provocatoriamente e con evidenza un contegno tale da intimidire i soggetti passivi alla stregua di quanto avviene laddove la violenza provenga da appartenenti ad associazioni mafiose”.
In questo caso, quindi anche per l’estorsione che sarebbe stata perpetrata dai Di Silvio e da Agostino Riccardo per Gina Cetrone “gli indagati hanno conseguito gli illeciti obiettivi proprio facendo leva sulla speciale fama criminale derivante dall’appartenenza al clan Di Silvio della famiglia di Armando detto Lallà, ottenendo in tal modo l’assoggettamento delle vittime e l’omertà da parte di costoro, che per paura si sono anche rifiutate di denunciare le sopraffazioni subite”.