Elena Lusena, 49 anni, dipendente del Comune di Latina è stata definita dagli inquirenti “completamente asservita a Pasquale Maietta e alla sua società di calcio”. Completamente asservita per “mantenersi” il ruolo affidatole con l’incarico di dirigente del Servizio Patrimonio e Demanio del Comune, secondo il Pm Giuseppe Miliano, titolare dell’inchiesta Olimpia, e il Gip Mara Mattioli firmatario dell’ordinanza che il 14 novembre scorso la collocò ai domiciliari. Tutto campato in aria per i giudici del Tribunale del Riesame che, oltre ad averla rimessa in libertà il 5 dicembre scorso per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, nelle motivazioni del provvedimento scrivono che “non sembra potersi ravvisare in capo alla Lusena alcuna condotta astrattamente valutabile – sul piano logico – come finalizzata all’agevolazione del programma criminoso”. Bingo! La difesa della funzionaria comunale si è vista accogliere tutte le eccezioni sollevate, a cominciare da una sorta di falso presupposto (stando a quanto si legge nelle motivazioni che hanno spinto il Riesame ad annullare l’ordinanza del Gip) che avrebbe portato gli inquirenti ad inquadrare erroneamente l’indagata quale dirigente comunale “per effetto di una nomina a carattere fiduciario (articolo 109 del testo unico)” quando invece lo sarebbe diventata “all’esito di una procedura selettiva (per soli titoli (?, ndr); ai sensi dell’articolo 110 de testo unico)”.
E così se, nell’ordinanza che le ha limitato la libertà, Lusena è accusata di aver omesso di richiedere il pagamento periodico del canone di affitto dello stadio Francioni… nel provvedimento del Riesame emerge che la difesa ha documentato invece come la stessa indagata abbia richiesto alla società Latina Calcio il versamento del canone per gli anni pregressi al 2013, rappresentando contestualmente che il Servizio patrimonio stava predisponendo il nuovo schema di convenzione.
Come si ricorderà, vista l’amplia diffusione nei giorni dei clamorosi arresti di notizie legate all’inchiesta Olimpia, Lusena era vista come colei che pur di assecondare le volontà di Maietta era riuscita a ridurre, mascherandolo con un errore di calcolo, il canone da imputare alla Latina Calcio. Un abbaglio degli inquirenti. Il Riesame, nelle motivazioni, argomenta diversamente attraverso una perizia di stima redatta dal tecnico e previa applicazione di una riduzione “comunque non superiore a quella consentita dal regolamento comunale (fino al 40% per i soggetti operanti nel settore sportivo).
Lusena è accusata, in concorso con l’architetto Ventura Monti, di aver destinato le somme già stanziate per la ristrutturazione dell’ex Albergo Italia ai lavori di ampliamento dello stadio Francioni. Ma per il Riesame “non si comprende quale sia stato il contributo causale dell’indagata allo specifico reato”.
Falso collaudo dello stadio? Neanche a dirlo. Il Tribunale del Riesame ritiene che “anche in relazione a tale reato, non sussista un adeguato compendio indiziario a carico dell’indagata”.
Insomma il famigerato capo “G” che lega il parlamentare Maietta, l’ex sindaco Giovanni Di Giorgi, l’architetto Monti e l’ex dipendente comunale Nicola Deodato all’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata a favorire la società Latina Calcio in danno del Comune di Latina non può scalfire Elena Lusena perché nel provvedimento del Riesame, che annulla l’ordinanza del Gip che la volava ai domiciliari per l’inchiesta Olimpia, c’è scritto che “al fine di escludere una qualsiasi sussistenza dell’affectio societatis, depone anche l’esame degli elementi risultanti dagli atti di indagine e relativi ai rapporti tra l’indagata e gli altri partecipi del sodalizio”. Un esempio? Nelle motivazioni il giudice estensore Attilio Mari cita un’intercettazione in cui Deodato, parlando con Monti, definisce la Lusena una “pomp… ra”, una “schiacciata”. Lo stesso dipendente, ora in pensione ma che all’epoca dei fatti contestati si occupava proprio della manutenzione dello stadio, con un interlocutore sconosciuto rincara la dose: “La Lusena…, la mia dirigente, la dottoressa Lusena… hai visto che cretina che è?”. Altra conversazione utilizzata dai giudici del Tribunale del Riesame a titolo di esempio per affermare evidentemente che se Deodato (dell’associazione a delinquere) la considerava una cretina, insomma non ne parlava bene, la stessa non avrebbe potuto essere una sodale del gruppo di quelli del calcio di Latina.