Cade in Appello l’aggravante del metodo mafioso per Samuele e Pupetto Di Silvio, condannati nel gennaio del 2019 per l’estorsione ai danni di un ristoratore di Sermoneta. I due, difesi dall’avvocato Oreste Palmieri, erano stati condannati in primo grado rispettivamente a 8 e 9 anni di reclusione e il Tribunale di Latina aveva riconosciuto l’aggravante mafiosa contestata dai pubblici ministeri Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro.
La Corte d’Appello di Roma ha così riformato la sentenza e i due dovranno scontare entrambi per quell’episodio 5 anni di reclusione. Lo stesso fatto fu poi inserito nell’ordinanza di Alba Pontina. Alla luce di questa sentenza di Appello si può ipotizzare un’aspra battaglia in secondo grado sul punto anche per gli imputati di questo procedimento.
Il pubblico ministero Luigia Spinelli, nella requisitoria del processo di primo grado, aveva ripercorso la vicenda ai danni del ristoratore di Monticchio. Aveva sottolineato la forza intimidatoria del gruppo – tra gli imputati c’era anche il pentito Riccardo Agostino, già condannato a 4 anni e 6 mesi in abbreviato – dicendo: “Di Silvio: un nome di qualità. Bastava la sola presenza a fare paura”. Claudio De Lazzaro aveva avuto invece il compito di spiegare il perché dell’aggravante mafiosa. Lo aveva fatto partendo dalle parole che Ferdinando Pupetto avrebbe detto al suo interlocutore per spaventarlo e convincerlo a pagare: “Io sono quello che ha sparato a Zof”, e dalla sentenza di Appello relativa a quella vicenda e a una fuitina di pochi giorni successiva. Poi aveva ricostruito la storia della famiglia rom. Ora la Corte d’Appello ha spiegato invece che quella non è mafia.