L’aspetto più suggestivo delle primarie Pd da poco in archivio è che facendo registrare il primo, vero, sonoro tonfo di Claudio Moscardelli da una decina d’anni a questa parte, segnano al tempo stesso il trionfo assoluto del metodo moscardelliano per eccellenza. Quello cioè che fa della filosofia di San Bernardo – vedere tutto, sopportare molto, correggere una cosa alla volta – il pilastro su cui costruire qualsiasi battaglia politica. Sia essa interna o esterna al partito. Per l’inserimento di un candidato in lista o per l’avvio di un asse trasversale con sullo sfondo Acqualatina, tanto per citare una partecipata tra le tante.
Perché a volerlo proprio trovare il grande merito che sta alla base del successo della componente impersonata da Enrico Forte – cosa che ci pare di gran lunga più elegante che non mettersi lì a cercare i demeriti nello schieramento vinto – non bisogna allontanarsi troppo da quel metodo lì. E, quindi, dalla capacità dimostrata in questa occasione da Enrico Forte e dai suoi, di aver nel tempo saputo talmente ben assimilare e fare propria la strategia moscardelliana, da disinnescare prima e anticipare poi ogni eventuale mossa del temibile avversario “interno”: Moscardelli medesimo.
Ma a meno di una settimana dal voto che ha conferito a Forte i gradi di candidato sindaco al comune di Latina per il Partito Democratico, parlare di legge del contrappasso per il senatore rischia di apparire agli occhi di chi è ancora pervaso da un briciolo di obiettività non soltanto assurdo, ma anche tremendamente ridicolo. Nelle mani di Moscardelli, sconfitta alle primarie a parte, resta dopotutto buona parte del partito, a Latina come nel resto della provincia. E’ però tuttavia indubbio che il voto di domenica scorsa, e forse, più in generale, un po’ tutta la campagna elettorale delle primarie democratiche, abbia fatto registrare come una crepa nel sistema fino a ieri granitico che faceva di Moscardelli il dominus indiscusso e indiscutibile del piddì pontino.
Qualcosa di cui il senatore dovrebbe prendere atto, se non altro, in tempi brevi. Come pure richiederebbe da quelle parti un supplemento di riflessione il fatto che il voto di domenica abbia legittimato la consistenza di una componente piddina che scegliendo Enrico Forte, ha scelto in realtà solo un’altra idea di Pd a quella incarnata fino ad oggi. Non necessariamente più forte. Forse non più preparata, coesa e rassicurante agli occhi dell’elettore democratico e di qualsiasi altro osservatore politico, ma se non altro meno cerchiobottista, spregiudicata nella ricerca di alleanze, e disposta a tutto. In una parola: equivoca. O, se preferite, semplicemente meno moscardelliana.