di Giovanni di Giorgi
Direttore editoriale della casa editrice Lab DFG
Dopo la battaglia di Santiago e le polemiche per l’eliminazione dal Mondiale in Cile, la Federazione decise che bisognava tornare al commissario unico dopo l’ennesimo disastro provocato da una commissione tecnica. Il commissario unico avrebbe seguito una propria conduzione tecnica in piena autonomia libera da sollecitazioni esterne e idee contrastanti sulla formazione da mandare in campo. In sostanza si ponevano gli stessi problemi che erano emersi alla fine degli anni Venti, quando fu nominato Vittorio Pozzo.
Altro elemento su cui basare la rinascita era quello di curare i vivai e l’ottimo risultato della Nazionale olimpica nel 1960 dimostrava la bontà dei giovani.
La scelta ricadde sul giovane Edmondo Fabbri, che aveva portato il Mantova dalla serie D alla serie A. Con Fabbri cambiarono schemi e fisionomia, guardando allo spettacolo più che al risultato e ricorrendo il meno possibile agli oriundi. La partita della consacrazione delle scelte di Fabbri arrivò il 12 maggio 1963 contro il Brasile di Pelé, Campioni del Mondo in carica. L’Italia vinse 3 a 0 con gol di Sormani, Mazzola e Bulgarelli, con Giovanni Trapattoni migliore in campo che annullò il grande Pelé. E il calcio italiano saliva anche sul tetto d’Europa vincendo dieci giorni dopo a Wembley la prima Coppa dei Campioni con il Milan di Nereo Rocco battendo i campioni in carica del Benfica. Successo che fu bissato nel 1963 e 1964 dall’Inter di Helenio Herrera.
L’epoca dell’improvvisazione sembra finita e l’obiettivo sono i Mondiali del 1966 in Inghilterra e per la prima volta dal dopoguerra la sensazione che hanno tutti è che la Nazionale azzurra non solo abbia iniziato nel modo giusto il cammino verso il Mondiale inglese, ma che lo stia facendo nel migliore dei modi.