Operazione contro il caporalato in provincia di Latina, la Guardia di finanza ha eseguito oggi 6 misure cautelari. I militari, coordinati dalla locale Procura della Repubblica, a eseguito di indagini, svolte sotto la direzione del procuratore aggiunto, Carlo Lasperanza e dei sostituti procuratori, Giuseppe Miliano e Valerio De Luca, hanno eseguito una serie di misure cautelari. Le richieste di carcerazione sono state emesse dal giudice per le indagini preliminari del tribunale pontino, Mario La Rosa. Gli indagati sono accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Secondo gli investigatori aveva messo su una collaudata attività criminale dedita al sistematico sfruttamento dei braccianti agricoli di nazionalità prevalentemente indiana.
L’operazione di polizia economico-finanziaria – denominata “δοῦλος” (dal greco antico “servo”, “schiavo”), iniziata da un controllo in materia di lavoro sommerso, eseguito dai finanzieri di Sabaudia nei confronti un’importante azienda agricola pontina, ha permesso di accertare come la società, grazie all’opera dell’amministratore e di altri soggetti in posizione direttiva abbia impiegato nel lavoro agricolo nelle unità locali operative in provincia di Latina, nel corso degli ultimi due anni, complessivamente oltre 290 lavoratori in condizioni di assoluto sfruttamento e prevaricazione.
Nel corso delle indagini, è emerso – grazie alla documentazione extracontabile acquisita all’esito di mirate perquisizioni locali disposte dall’autorità giudiziaria pontina – che gli indagati, approfittando dello stato di bisogno di numerosi lavoratori stranieri, avrebbero proceduto non solo alla corresponsione di retribuzioni orarie sensibilmente inferiori a quelle previste dai contratti collettivi di categoria, ma anche all’impiego effettivo della manodopera per un numero di ore di lavoro settimanale di gran lunga superiore a quello formalmente risultante nella documentazione aziendale ufficiale (formalmente ineccepibile) concernente i relativi rapporti di lavoro subordinato (contratti di lavoro, buste paghe, registro presenze, etc.).
Le condizioni di lavoro e i metodi di sorveglianza pressanti e degradanti, attuati, sempre secondo gli inquirenti, dai responsabili dell’area amministrativa e di controllo del personale, sono stati tali da generare nei lavoratori stranieri – costantemente provati da un profondo stato di bisogno e dalla necessità, spesso, di mantenere economicamente le famiglie d’origine – anche un totale assoggettamento psicologico al datore di lavoro. In alcuni casi, infatti, i lavoratori sono stati costretti a rinunciare al riposo settimanale e alla fruizione di ferie.
Lo sfruttamento dei braccianti agricoli ha consentito all’azienda agricola non solo di risparmiare sensibilmente sul costo della manodopera – a discapito delle fasce più deboli – ma anche di attuare una grave concorrenza sleale a danno degli altri operatori economici onesti del settore, grazie al mancato pagamento alle casse dell’Inps dei maggiori contributi previdenziali e assistenziali ammontanti ad oltre 110.000 euro.