Un quadro sempre più inquietante emerge dalle intercettazioni e dalle testimonianze dei pentiti Agostino Riccardo e Renato Pugliese. Il metodo mafioso: aggravante ritenuta dai magistrati applicabile al “recupero” (così chiamato in gergo dai pentiti) di circa 84mila euro, nei confronti di una persona, messa alla guida di una azienda poi fallita di Borgo San Michele, riconducibile a Luciano Iannotta.
La somma, secondo l’ex amministratore, era stata trattenuta da lui lecitamente (anche se sul caso era in corso una indagine della Guardia di Finanza) quale emolumento per il lavoro svolto e pagato in maniera insufficiente. Così Iannotta, che rivoleva indietro i soldi, si era rivolto agli “zingari” ed aveva mandato a casa dell’ex amministratore Pugliese e Riccardo: era il settembre del 2016 e i due, oggi collaboratori di giustizia, all’epoca erano ancora affiliati al clan di Armando Di Silvio detto Lallà. In particolare lo stesso Pugliese riferì in quell’occasione di essere il figlio di Cha Cha (Costantino Di Silvio), altro esponente del clan molto noto. La vittima spiegò la situazione e disse che non aveva debiti, così pagò “per il disturbo” i due con circa duemila euro, che in più di un’occasione si ripresentarono a casa della vittima finché quest’ultima non minacciò denuncia.
Iannotta – è scritto nell’ordinanza – “ha assunto un ruolo fondamentale nella vicenda, facendo intervenire volutamente Riccardo e Pugliese (estranei al rapporto), in quanto esponenti di spicco della criminalità locale, proprio allo scopo di intimorire ed intimidire l’imprenditore debitore, costringendolo con la violenza e le minacce a pagare per paura di ritorsioni da parte di costoro”; “evidente l’utilizzo del metodo mafioso”.
Lo stesso Iannotta, dovendo poi pagare il “servizio di recupero” a Pugliese e Riccardo – quantificato in altri duemila euro – dovette versarne 2.500, per conto di una delle sue società, ad un noto bar del capoluogo che avrebbe fatturato la cifra (trattenendo i 500 euro per l’Iva) giustificandoli come cestini natalizi. Il bar fu chiamato in causa dallo stesso clan, con il quale c’erano rapporti di amicizia stretti. I soldi, poi, nelle tasche di Pugliese e Riccardo, arrivarono in contanti.