Marco Savastano vittima di Facebook: prova a rifarsi un profilo ma viene bannato a ripetizione. Il 53enne di Latina, funzionario di banca, senza problemi con la giustizia, ha un unico “difetto”, quello di essere attivista del movimento CasaPound.
“Facebook mi chiede documento e foto, mi sento schedato – afferma -. Probabilmente conosce indirizzi Ip di computer e telefono e li utilizza, tant’è che ho provato anche ad aprire una nuova casella di posta elettronica, a fornire un altro numero telefonico, ma niente. Alla fine della procedura sparisce tutto. Eppure, in circolazione ci sono infinità di profili falsi. E’ una persecuzione vera e propria”.
Come è noto Facebook, la scorsa settimana, ha oscurato tutti i profili e pagine aperte sul social, ivi compresi quelli della piattaforma Instagram, riconducibili a Casapound e a Forza Nuova, delle loro associazioni, e dei loro militanti. “Le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono – ha giustificato Facebook – non trovano posto su Fb e Instagram. Candidati e partiti politici, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia”. Una posizione ferma.
A maggio scorso la proprietà dei social di Mark Zuckerberg aveva già bannato molti profili e pagine tra qui quelle di Generation Identify (Pan-Euro), Inferno Cottbus 99 (Germania), Varese Skinheads (Italia), Ultras Sette Laghi (Italia), Black Storm Division (Italia), Rivolta Nazionale (Italia), Scrofa Division (Olanda), Chelsea Headhunters (Gran Bretagna), White Front (Bulgaria), Boris Lelay (Francia), Beke Istvan Attila (Ungheria), Szocs Zoltan (Ungheria) e Varg Vikernes (Norvegia).
Responsabile di CasaPound Latina, Savastano davanti al simbolo della tartaruga frecciata ci ha sempre messo la faccia e non ha mai avuto problemi “particolari” con chi non la pensasse politicamente come lui, salvo ritrovarsi virtualmente appeso a testa in giù a memoria di piazzale Loreto. La segnalazione del post a Fb, da parte sua, non hanno avuto alcun effetto. Savatano non ha mai nascosto la sua “fede” e non ha incontrato ostacoli nella sua carriera professionale motivati dal suo credo politico di destra. Con CasaPound si è candidato più volte, finanche per la carica di sindaco di Latina alle elezioni del 2016 e alle politiche del 2018. Le percentuali non lo hanno premiato, ma non ha mai pensato un solo istante a mollare la politica. Anzi.
Per Savastano difendersi dall’accusa di diffondere odio lo fa un po’ sorridere, uno perché “non è vera”, due perché “sfida” chiunque a dimostrare di aver mai postato contenuti di istigazione all’odio o che possano aver leso la dignità di chicchessia (“se fosse successo mi avrebbero come minimo denunciato”, aggiunge), tre perché la “violenza” sui social è così trasversale che se fosse applicata alla lettera la policy di Zuckerberg sarebbero oscurati milioni di profili e pagine molto più “di peso” di quelli riconducibili a Casapaound che in Italia sono lo 0,X, figuriamoci a livello planetario. “I nostri post non diffondono odio, certo sono post di dissenso nei confronti di certe amministrazioni, di denuncia. Coloriti dai nostri striscioni, dagli slogan, ma da qui a dire che diffondiamo odio ce ne passa”.
Il 9 settembre scorso, Savastano non fa in tempo a postare la foto scattata alla manifestazione organizzata a Roma contro il Governo giallorosso, ritraente la folla (stesso contenuto di migliaia di post leghisti e di Fratelli d’Italia) che immediatamente parte la “censura”. Giusto il tempo per rendersi conto cosa stesse accadendo che rieccolo sui social, con un profilo nuovo di zecca e arrabbiato nero perché i signori di Facebook si sono appropriati di tutto il materiale pubblicato negli anni senza alcun preavviso. Solo l’inizio di un incubo. Perché dopo un paio di giorni sparisce anche Savastano bis, poi il profilo Marco Sava Stano. Niente da fare, Facebook lo ha schedato “come un ricercato“, è entrato in una sorta di black list.
CasaPound ha già attivato i propri legali e presentato una diffida formale alla società di Menlo Park, probabilmente seguirà una class action, ma Savastano il problema vorrebbe risolverlo prima possibile perché sta già pensando alle prossime elezioni amministrative (che da calendario si terranno a giugno 2021) e stare fuori dal social più diffuso proprio non gli va giù.
Guido Scorza, avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie, in un’intervista rilasciata all’Agi (Agenzia Giornalistica Italia) ha dichiarato: “La decisione di Facebook di chiudere le pagine di Casapound e Forza nuova al momento è legittima e in sostanza inoppugnabile. È un po’ come se fosse un giardino privato, decide chi può starci e chi no in base a regole proprie. Ma c’è un livello più alto di ragionamento: possiamo ancora considerare un giardino privato una piattaforma di comunicazione usata da 3 miliardi di persone? E’ evidente che non è più così. Facebook ora è più simile alle infrastrutture essenziali, come le strade e le autostrade, per intendersi”.
“La rimozione dei contenuti dalle piattaforme di comunicazione come Facebook – aggiunge Scorza, estendendo l’ipotesi dell’infrastruttura essenziale – non dovrebbe più spettare alle società ma a un giudice. Oggi impedire a qualcuno l’uso di una piattaforma come Facebook è una limitazione enorme. La decisione non può spettare solo alla società in base a delle regole proprie”.
In un’altra intervista l’avvocato Scorza afferma che “se Casapound ritiene di non aver violato quelle condizioni, con gli ostacoli che chiunque di noi incontrerebbe, deve rivolgersi al foro di Santa Clara, in California, e intentare una causa; se il giudice si convince ordina a Facebook di ripristinare i contenuti”. “Ma questo vale per tutti- aggiunge Scorza -. Sono migliaia le persone che si sono viste chiudere un account, anche per molto meno”.
Per Scorza è fuori di dubbio che “perdere il diritto di utilizzare Facebook significa vedersi ridimensionare, in modo importante, la libertà di parola”. “Da questo punto di vista – afferma – i tempi potrebbero essere maturi per interrogarsi sull’introduzione di regole che oggi non esistono, e cioè che i contenuti non si toccano finché ad ordinarlo non è un giudice”.