Volevo parlare dell’insegnante sospesa a Palermo, in Sicilia, per la ricerca dei ragazzi di un istituto tecnico industriale che hanno accostato le leggi razziali al decreto di sicurezza di Matteo Salvini. Mi aveva colpito, nel vedere l’intervista alla professoressa, il fatto che fosse davvero spaesata: mai avrebbe creduto di essere sospesa per una cosa del genere. E la sua dignità. Non ha mai attaccato Salvini, ha spiegato il lavoro fatto in classe. Ha proposto delle letture e sono stati gli alunni a realizzare quel lavoro “incriminato”.
Mi ricordo gli anni del liceo quando in classe scoppiava il dibattito politico. Non era un caso sporadico, tanto che tra i miei ex compagni ce n’è anche uno che a Latina è esponente di uno dei maggiori partiti in circolazione. Avevamo tutti le nostre idee, ormai ben radicate, e non era strano che qualcuno, anche per l’inesperienza dettata dall’età, avanzasse teorie estremiste. Confronti azzardati.
Non ricordo un solo episodio in cui un professore abbia detto a qualcuno che sbagliava, che stava esagerando. I nostri discorsi non avevano ancora valenza politica, come non potevano averla quella dei giovani studenti siciliani. Era l’espressione del nostro pensiero, che stava nascendo, maturando. Ricordo invece i professori orgogliosi delle nostre ricerche, delle nostre letture, consapevoli di insegnarci a pensare con la nostra testa.
Questo hanno fatto quei ragazzi in Sicilia. Hanno letto, studiato e hanno poi fatto un’analisi critica di quello che l’insegnante aveva proposto. Non si sono preoccupati di quello che pensa la massa o di poter essere criticati o tanto meno attaccati. Quello che accade in un’aula resta lì dentro.
Se penso poi all’università: in quegli anni Berlusconi avrebbe dovuto far chiudere tutte le facoltà di Scienze politiche. I docenti hanno scritto addirittura libri contro le sue scelte che facevano parte dei nostri testi di esami.
Tutto ruota intorno alla parola libertà, tanto bistrattata, che ha perso anche ilsuo reale significato, e a quel principio costituzionale che si chiama libertà di manifestazione del pensiero. E’ l’articolo 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
C’è un altro aneddoto che mi viene in mente, ma rischio di dilungarmi troppo. Scrivevo da poco su un giornale. Un giorno il sindaco del mio paese di origine pubblicò su un manifesto, in piazza, un mio articolo con sotto la mia firma dicendo che l’avevo scritto “davanti ad un piatto di spaghetti”. Voleva dire che ero stata usata da una persona attiva politicamente per attaccarlo. Peccato però quella notizia non arrivasse dalla fonte che aveva immaginato.
Insomma il mio primo istinto è stato quello di strappare quel manifesto. Non ho potuto farlo, nonostante fosse un’ingiustizia e fossi stata ridicolizzata davanti ad un intero paese.
Eppure l’insegnante è stata sospesa, per non aver monitorato il lavoro dei suoi studenti. Non è stato per volere di Salvini, che si è proposto di spiegare le sue scelte ai ragazzi e si è anche augurato che la questione si risolva presto.
Eppure gli striscioni di contestazione vengono strappati dai balconi. Non sta a me dire se sia giusto o sbagliato, di certo è un fatto.
Volevo parlare dell’insegnate sospesa, ma oggi è arrivata una nuova notizia. Per criticare il ministro Salvini si è mossa addirittura l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ha chiesto di rivedere il decreto di sicurezza bis del governo. Non starò qui a scrivere tutto quello che Beatriz Balbin, capo delle Special procedures dell’Alto commissariato per i diritti umani, contesta. Potete leggero ovunque.
Quello che mi ha colpito è che ha detto che le direttive di Salvini “intensificano il clima di ostilità e xenofobia nei confronti dei migranti”. Salvini ha rimandato le accuse al mittente e ha spiegato che andrà avanti per la sua strada.
Le stesse parole che arrivano dalle Nazioni Unite sono state utilizzate prima dai ragazzi di Palermo nell’ultima slide della loro ricerca quando hanno parlato di una “politica nazionalista e xenofoba”.
È un’opinione, che può essere o meno condivisa, ma resta un’opinione e anche solo per questo, da difendere.