Dodici racconti. L’ultimo libro di Roberto Campagna è un’antologia, pubblicata da Castelvecchi. Dodici storie, in bilico tra presente e passato, per raccontare d’amicizia, d’amore, di crescita, con una leggerezza poetica davvero fuori del comune. E l’occhio attento ai piccoli miracoli della natura: come la nascita di un fiore o la maturazione di un frutto. Tutto è sempre osservato e descritto con partecipazione ma anche con una sottile ironia. Dodici racconti che, come una ragnatela, lo prendono il lettore e lo portano nella adolescenza e nella giovinezza del protagonista e dentro la sua piccola “banda di amici”. La scrittura è elegante e avvolgente e ogni racconto – tutti indipendenti e tutti uniti dal filo della memoria, del luogo e dei personaggi – tratta un piatto o un prodotto della tradizione gastronomica (da non dimenticare che Roberto Campagna è un esperto di cibo, al quale ha dedicato svariate pubblicazioni). La letteratura popolare, e in particolar modo il racconto orale, in questo libro di Campagna si coniugano insieme in uno squisito pamphlet di ricordi pseudo autobiografici.
Campagna, giornalista e sociologo, è un vero scrittore “popolare”, se con popolare si intende il lascito che la memoria imprime nella tradizione del saper narrare, con ironia e arguzia, episodi cruciali, in grado di sintetizzare una comunità e le sue tradizioni, i suoi sapori tipici e trasformarli in emozioni viventi, immortali. I luoghi delle memoria di Campagna sono quelli dei Monti Lepini e i suoi paesi. Ma sono anche alcune zone del Mar Adriatico e del Lago di Bracciano, che tracciano l’anima e cristallizzano il ricordo, tra favola e cruda realtà, come ne La strada di Federico Fellini.
“Il palato della memoria” è un libro pseudo autobiografico Perché Flavio, il protagonista dei dodici racconti che compongono l’antologia, è il riflesso nostalgico dello stesso autore; è infatti negli occhi di Flavio che Campagna ripercorre luoghi e sapori passati, forse scomparsi o in via di sparizione, ma indelebili nella sua memoria di ragazzo nel pieno della vita. I ricordi sono fatti di odori e gusti sopiti nel tempo e Campagna, con la sua verve narrativa frizzante e ironica – l’autore ha la capacità di scrivere una lingua corrente, colloquiale, senza risultare volgare – impasta le sue storie come ricette di cucina, usando lo stesso timbro scanzonato di un Balzac e lo fa trasportando il lettore – anche il lettore estraneo ai luoghi e ai piatti citati – nel suo mondo provinciale di nostalgiche disillusioni politiche, di scorribande canagliesche, di scherzi e alambicchi giovanili, di ripicche e fughe e amorazzi scollacciati.
Leggendo dunque “Il palato della memoria” non si può non pensare a una tenerezza antica – ma come fa la tenerezza a non essere anche gioia rabbiosa per un tempo ormai perduto? – e soprattutto ad una operazione di recupero sociale e culturale, a un Amarcord che vuole farsi scatola magica, scrigno di ricordi, perché il vero miracolo dell’uomo è sapere di appartenere ad un luogo e di portarselo sempre dentro.