Nessun silenzio assenso per il permesso a costruire in via Quarto richiesto, in seconda battuta nel 2015, dalla società Costruzioni Generali dopo la famosa “scoperta” in base alla quale la particella 133 utilizzata a compensazione perequativa del precedente permesso a costruire era risultata già di proprietà del Comune di Latina. Lo ha deciso il Consiglio di Stato con sentenza pubblicata oggi, in riforma alla sentenza del Tar del 5 maggio 2016 che aveva dato ragione al costruttore riconoscendo legittimo il permesso a costruire sulla base del silenzio assenso rispetto alla propria istanza del 2016 “ridimensionata” a confronto del primo progetto.
La causa si è svolta il 22 novembre 2018 e la sentenza è stata pubblicata oggi, 7 gennaio 2019. A ricorrere al Consiglio di Stato è stato il Comune – per altro condannato dal Tar a gennaio dello scorso anno ad un maxi risarcimento danni per i fatti di via Quarto -, con l’intervento ad adiuvandum della signora Maria Alessandra Frezza che in qualità di “proprietaria di un immobile nelle vicinanze” aveva impugnato al Tar il primo permesso a costruire, quello del 2014, poi sospeso ed annullato, rilasciato alla società Costruzioni Generali.
Alla base della decisione del Consiglio di Stato, che ha condannato la società costruttrice alle spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in 10.000 euro (8.000 in favore del Comune e 2.000 euro in favore della signora Frezza), alcune eccezioni sollevate dalla parte ricorrente, ovvero il Comune di Latina, rappresentato dall’avvocato Francesco Paolo Cavalcanti.
Il Consiglio di Stato, nel riformare la sentenza del Tar del 5 maggio 2016, ha stabilito che il ricorso proposto in primo grado dalla Costruzioni Generali doveva essere ritenuto inammissibile per mancata notificazione alla controinteressata, la signora Maria Alessandra Frezza, come sostenuto dall’avvocato del Comune di Latina.
In secondo luogo ha stabilito l’infondatezza nel merito dello stesso ricorso per l’assenza della dichiarazione del progettista abilitato, che asseverasse la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, quale elemento costitutivo dell’efficacia del silenzio assenso. “Il silenzio assenso costituisce uno strumento di semplificazione amministrativa – si legge nella sentenza del Consiglio di Stato – e non di liberalizzazione, per cui esso non si perfeziona con il mero decorrere del tempo, ma richiede la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge per l’attribuzione del bene della vita richiesto”.
Ed infine, non certo per ordine di importanza, la questione legata alla particella 133, risultata già di proprietà del Comune di Latina, motivo per cui aveva portato il costruttore a riformulare la richiesta di permesso a costruire con un nuovo progetto. Progetto che aveva trovato contezza in un intervento unitario, con una distribuzione della volumetria differente rispetto a quella iniziale, a vantaggio del Comune che, appunto, era risultato comproprietario e partecipante al Comparto edificatorio. Ma come ricostruito dall’avvocato del Comune, in municipio era poi arrivato il commissario straordinario Giacomo Barbato che con deliberazione assunta con i poteri del Consiglio comunale aveva disposto la non partecipazione del Comune all’attuazione del Comparto, ritenendo più funzionale all’interesse pubblico non utilizzare il diritto volumetrico dell’ente. Un passaggio fondamentale che ha aperto la strada della necessità di rivedere il piano particolareggiato di riferimento.
La sentenza del Consiglio di Stato, che dà ragione al Comune sull’edilizia di via Quarto, potrebbe fare da apripista per un’altra eventuale riforma di sentenza, quella di gennaio 2018 relativa alla richiesta di risarcimento danni in favore del costruttore. Con il pronunciamento di oggi, intanto, “Il Gigante Buono”, comitato spontaneo nato contro l’abbattimento degli alberi eseguito per l’apertura del cantiere di via Quarto, si è preso una bella rivincita.