La vicenda della chiusura del Bar La Loggia, all’interno di Palazzo Caetani a Cisterna, sta creando scompiglio non solo nei rapporti tra l’amministrazione e i gestori ma anche attraverso i social network. In queste ore si susseguono, a dire il vero da un paio di giorni, i commenti dei gestori e quelli dei sostenitori tanto che l’hashtag #iostoconlaloggia ha preso piede in men che non si dica sulla piazza virtuale.
In realtà la questione è un pochino più delicata e non si può ridurre esattamente a un mero contenzioso tra chi gestisce un locale le cui mura sono pubbliche e chi lo richiede, di fatto, indietro in virtù della scadenza di quello che potrebbe essere definito un contratto di affitto. Più complicata perché bisogna partire da un presupposto: stando a quanto spiega il Comune e a quanto effettivamente risulta dai documenti oltre che a chi conosce la storia di quel locale, non esiste alcun contratto di affitto ma una semplice convenzione di gestione. Si tratta di un atto sottoscritto in piena amministrazione Carturan, siamo alla fine di novembre del 2004, che affidava i locali per ragioni “culturali” e consentiva l’apertura di un “caffé letterario” con finalità proprie di quell’indirizzo specifico: sostanzialmente un luogo di incontro per appuntamenti e iniziative culturali.
In dodici anni il bar La Loggia, che nel frattempo è passato per le mani di almeno tre società alcune delle quali cooperative sociali, ha indubbiamente offerto un servizio di bar e ristoro nella centralissima piazza XIX Marzo e nel più bel palazzo storico di Cisterna (l’unico, per altro) ma non ha mai avuto la connotazione di caffè letterario tanto che già al momento della stipula della convenzione la scelta dell’allora amministrazione Carturan fece storcere il naso a numerosi esponenti dell’opposizione del tempo.
Va inoltre detto che alla base del contenzioso con il Comune, come spiega una nota dell’ente che non a caso sottolinea questo passaggio, c’è probabilmente (visto che non viene fatto alcun riferimento al fatto specifico) anche il fatto che il canone di affitto annuo appare irrisorio rispetto ai normali prezzi di mercato a cui sono sottoposti gli altri commercianti del centro ma, probabilmente, di qualsiasi altra zona della città per non dire d’Italia: 1.000 euro annui.
A questo chi gestisce con indiscutibile bravura e professionalità quell’attività (che però non può essere ricondotta a un semplice servizio alla città perché si tratta di una attività commerciale e imprenditoriale in piena regola), oppone anche il fatto di dare lavoro a otto persone, opportunità che forse se quei locali venissero messi a bando, ammesso che l’amministrazione intenda mantenere quella destinazione, visto che in una nota stampa inviata nel tardo pomeriggio si parla di un utilizzo futuro per “finalità istituzionali”, potrebbero cogliere anche altri cittadini senza evitare odiose convenzioni che, pur non riguardando l’attuale gestione, furono fatte direttamente e non attraverso bandi pubblici. Convenzioni in piena regola, per carità, ma comunque “antipatiche” almeno nella forma.
L’amministrazione, nella nota inviata alla stampa, ha tenuto a precisare di non avere interrotto gli effetti della convenzione ma di avere comunicato “con un anno di anticipo” l’intenzione di non rinnovarla alla naturale scadenza prevista per il 29 novembre del 2016. Tra un anno, appunto.
Indubbiamente resta il dispiacere per la chiusura di uno spazio che comunque allietava serate estive e invernali (grazie al chiostro interno del palazzo) e che è gestito, va detto e ribadito, da persone capaci e indiscutibilmente oneste. Vero. Come è vero che questa storia è però nata male e, almeno nella forma, finita peggio. Vista la situazione, comunque, fare spallucce e girarsi dall’altra parte allungando una convenzione comunque discutibile nei fatti e nella forma, non sarebbe stato giusto da parte del Comune che deve tutelare gli interessi di tutti i cittadini. Un aumento del canone poteva essere una soluzione, così come potrebbe esserlo un bando in piena regola e aperto a tutta la città. Il Comune ha preferito un’altra ipotesi, era nei suoi diritti di proprietario dei locali. Vedremo cosa se ne farà, intanto una riflessione onesta su ciò che è stato, però, non può e non poteva non essere fatta.