Tornano sempre al pettine i nodi dell’ex centrale nucleare di Borgo Sabotino, con un andamento ciclico neanche fossero birilli tra le mani di un giocoliere. E così riecco il cloruro di vinile, quel composto organico che spaventa gli abitanti di Borgo Sabotino che ignari, probabilmente chissà da quanti anni, hanno attinto dai loro pozzi l’acqua avvelenata prima che fosse dichiarata tale. L’uso dell’acqua dei pozzi privati è vietata. Le ultime analisi effettuate dalla Asl evidenziano elevate concentrazioni nei pressi del consorzio residenziale Santa Rosa. Stessa positività arriva dai pozzi piezometrici scavati al confine dell’area della Sogin, la società che gestisce la dismissione dell’impianto. A marzo i valori del cloruro di vinile a ridosso di via Bottero, e dei consorzi residenziali Foce Verde e Santa Rosa erano nella norma, elevati solo quelli all’interno dell’area Sogin. Le analisi più recenti purtroppo non hanno dato il risultato sperato. La nuova amministrazione comunale, che ieri ha partecipato per la prima volta alla conferenza dei servizi aperta per la soluzione di questo caso, ha spinto affinché le investigazioni in atto siano affiancate dagli esperti dei settori ambiente e nucleare dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e che alla prossima seduta, prevista per fine settembre-primi di ottobre, vengano a Latina a riferire. L’obiettivo è quello di individuare la fonte di inquinamento che al momento resta legata alla sola ipotesi di un interramento a ridosso dell’ex centrale di materiale plastico, pvc, in grado di produrre il cloruro di vinile. Solo risalendo alla fonte sarà possibile capire come muoversi per risolvere il problema. Intanto la situazione dei pozzi sarà costantemente monitorata e se nei prossimi mesi il livello dovesse rientrare nei parametri l’ordinanza di divieto di uso potabile ed irriguo dell’acqua dei pozzi privati sarà rivisto.
Vincenzo Zaccheo, ex sindaco di Latina, oggi si è rivolto al primo cittadino Damiano Coletta affinché si attivi quanto prima per ottenere il rimborso delle somme non corrisposte al Comune di Latina in termini di ristoro per la servitù nucleare: “Ogni ulteriore attendismo – afferma Zaccheo – aggraverebbe infatti una situazione già fortemente penalizzante, a livello economico, per il nostro territorio”. La verità è che il Comune di Latina, ricorda l’ex sindaco, sebbene fosse stato il capofila della battaglia per i ristori della nucleare è l’unico rimasto a mani vuote, è l’unico – precisa meglio – a ricevere dal Governo centrale appena il 30% degli indennizzi dovuti. “Tutto per non aver aderito insieme agli altri Comuni a un ricorso contro una decisione penalizzante, ingiusta e soprattutto errata presa dodici anni fa dall’esecutivo. Questo quanto accaduto a Latina, che ha perso e continuerà a perdere diversi milioni di euro”, commenta Zaccheo alla luce della recente sentenza emessa sulla vicenda dal Tribunale civile di Roma
Nel 2007, su iniziativa dello stesso Zaccheo, venne costituito l’Ancin, l’Associazione nazionale Comuni italiani nuclearizzati, affiliata all’Anci, e il capoluogo pontino, per volontà di tutti i sindaci dei Comuni nuclearizzati, venne scelto come sede nazionale dell’associazione. L’Ancin avviò subito una battaglia per ottenere, come previsto dalla legge 368/03, misure di compensazione per i territori che ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare. L’Associazione, a cui presero parte, oltre al Comune di Latina, quelli di Bosco Marengo, Trino Vercellese, Caorso, Roma, Piacenza, Sessa Aurunca, Rotondella, Ispra e Saluggia, riuscì così a far affluire nei diversi Comuni risorse ingenti. Diversi milioni di euro. Poi però, in base a un’interpretazione data dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al comma 298 dell’articolo 1 della legge 311/04, i fondi destinati a tali Comuni vennero tagliati del 70%. L’Ancin, ritenendo errata tale interpretazione, decise subito di contrastare quel provvedimento e affidò un incarico a un professionista per appurare se effettivamente quella decisione fosse sbagliata. Ottenute conferme in tal senso, diversi Comuni aderenti all’Associazione nel 2011 citarono a giudizio la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Cipe, e il Ministero dell’economia e finanze, chiedendo che venissero condannati a pagare il 100% di quanto previsto come ristoro per le servitù nucleari, recuperando quanto perso dal 2004 al 2011. “La mia amministrazione cadde nell’aprile 2010 – ricorda l’ex sindaco Zaccheo – e non potei seguire quel contenzioso”. E il Comune di Latina, all’epoca commissariato, non aderì all’iniziativa processuale, restando estraneo al contenzioso. Di recente si è giunti alla conclusione del primo grado di giudizio. Il giudice civile del Tribunale di Roma, Corrado Cartoni, ha infatti riconosciuto alle parti in causa le somme indebitamente non corrisposte dall’amministrazione statale, con sentenza 14894 del 22 luglio 2016, accogliendo le richieste dei Comuni di Ispra, Rotondella, Saluggia, Caorso, Trino, Piacenza, Minturno e Sessa Aurunca. Dunque anche di quei centri soltanto limitrofi a quelli dove si trovano le centrali. Ai ricorrenti andranno circa cento milioni di euro e a Latina niente. Giusto per citare qualche cifra: al Comune di Caorso sono stati riconosciuti circa 26 milioni di euro, a quello di Sessa Aurunca circa 12 milioni di euro, a quello di Saluggia circa 23 milioni di euro. La disattenzione degli ultimi anni da parte di chi ha gestito la cosa pubblica ha portato a questo pesante risultato. E il capoluogo pontino appare anche destinato, non avendo fatto causa, a continuare a percepire solo il 30% degli indennizzi per la presenza della centrale. “A fronte di ciò – dichiara l’ex sindaco Zaccheo – restano alcuni legittimi interrogativi: come mai l’allora commissario Nardone non proseguì, con l’azione giudiziale, l’iter già avviato dall’amministrazione comunale? Per quale ragione l’ex sindaco Di Giorgi rimase del pari inerte?”. Infine l’appello al primo cittadino Coletta: “Rivolgo un accorato appello all’attuale sindaco affinché si attivi quanto prima per ottenere il rimborso delle somme non corrisposte al Comune di Latina. Ogni ulteriore attendismo aggraverebbe infatti una situazione già fortemente penalizzante, a livello economico, per il nostro territorio”.
Ma sul sito in dismissione di Borgo Sabotino pende un’altra spada di Damocle: il deposito nazionale per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Ad aprile scorso la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia a causa del ritardo con cui il programma nazionale per l’attuazione della politica di gestione del combustibile esaurito e dei combustibili radioattivi è stato inviato. Il programma italiano, pervenuto in Commissione europea soltanto a febbraio di quest’anno, mentre era atteso entro agosto 2015, dovrebbe contenere l’indicazione dei possibili siti di stoccaggio. Il condizionale è d’obbligo poiché la Dg Energia della Commissione Europea finora si è fermata all’eccezione della violazione formale, “oltre il tempo massimo”, e non è ancora passata ad esaminare il resto. Sogin e Ispra, finora, hanno mantenuto il massimo riserbo sulla location del cosiddetto deposito nazionale, mentre sono in corso di realizzazione i depositi provvisori. La sede di Sabotino per la realizzazione del deposito nazionale, secondo la politica, sarebbe da escludere per assenza di requisiti dovuta alla vicinanza del mare ma… Attorno all’ex centrale nucleare di Latina c’è sempre un ma. I parametri stabiliti da Sogin e Ispra per la realizzazione del deposito nazionale sono 14: purtroppo la sede di Borgo Sabotino ne avrebbe 13/14: “La vicinanza al mare è il solo elemento a nostro favore, cioè che Latina resti fuori dai siti possibili per la costruzione del deposito”, ha dichiarato pochi mesi fa Giorgio Libralato, ecologista pontino da sempre attento alla tematica del nucleare.