La sentenza di condanna emessa ieri a carico di Piero Maragoni (ex responsabile del dipartimento delle finanze del Comune di Terracina punito con una pena di 4 anni) e di sua figlia Dalia (condannata a due anni e otto mesi), per le manomissioni del software gestionale del bilancio dell’ente municipale, ha spinto l’ex sindaco Nicola Procaccini, oggi in corsa per la stessa carica, a fare delle riflessioni che affida ad una lettera aperta indirizzata ai cittadini. Ecco il testo firmato da Procaccini.
La sentenza di condanna emessa ieri, relativamente alla manomissione del bilancio comunale praticata per molti anni fino al mio insediamento nel 2011, mi porta a fare delle riflessioni. A beneficio della cittadinanza e degli organi d’informazione. Nel corso dell’ultima campagna elettorale affermai, in tutte le occasioni possibili, la mia contrarietà alla dichiarazione di dissesto finanziario. Conoscevo la gravità della situazione delle nostre casse comunali. Credo che qualunque terracinese ne avesse contezza. D’altra parte, non venivano pagati i dipendenti comunali, né la ditta per la raccolta rifiuti, né quella del verde pubblico. Praticamente non si riusciva a pagare più nessuno e la città, anno dopo anno, era costretta a scavare sempre di più il fondo del baratro in cui era precipitata. Ciò nonostante, conservavo in cuor mio l’idea che si potesse evitare l’onta del dissesto finanziario, trovando nuove entrate e risparmiando sulla spesa, arrivando persino a dimezzare lo stipendio mio e di tutta la giunta. Poi un giorno, per la precisione il primo giorno appena divenuto sindaco, l’amara scoperta: il bilancio truccato. Cioè, non solo dovevamo scalare la montagna di debiti che risultava dalle carte ufficiali, ma dalle indagini interne avviate dal nuovo dirigente finanziario, era emerso un’ulteriore buco finanziario per oltre 32 milioni di euro, di cui nessuno poteva sapere se non coloro che l’avevano creato. In quasi dieci anni, per più di 1500 volte, qualcuno aveva taroccato le entrate e le uscite del nostro bilancio cittadino, creando un finto pareggio finanziario che nella realtà non esisteva. Una cosa mai accaduta prima in Italia. Da questa terribile scoperta, scaturì l’inevitabile decisione di dichiarare il dissesto ed iniziare così la lunga sofferta risalita verso la vetta di quella montagna di debiti che oggi finalmente guardiamo da molto vicino. Il bello arriva adesso: da parte di coloro che avevano prodotto questo disastro sono stato accusato di essere un visionario, uno che aveva tradito la promessa fatta agli elettori di non dichiarare il dissesto. Per fortuna come spesso mi trovo a ripetere nella mia vita: “il tempo è galantuomo”, e ieri un tribunale della Repubblica Italiana, ha affermato che le mie non erano delle “visioni”, ma la pura e drammatica verità. Resta l’amarezza di sapere che chi pagherà penalmente (se la condanna dovesse essere confermata anche in appello) sarà solo un dipendente comunale, e non la politica di allora su cui grava il peso storico di questo disastro legale ed economico.